Si tratta di uno sport dei motori dove non vince chi arriva primo ma chi supera degli ostacoli con maggiore eleganza, dove i piloti non lottano gomito a gomito tra loro ma sfidano la gravità salendo in verticale dove non ci si arrampicherebbe neppure a piedi. L’eleganza viene misurata in penalità a cui incorrono i piloti quando appoggiano i piedi a terra, cercano di non farlo nelle “zone controllate” dette anche sezioni, che sono disseminate su un percorso, detto trasferimento, per lo più fuoristrada di lunghezza variabile da gara a gara, si va da un minimo di 2 km ad anche 100 km. Si sta parlando di Trial outdoor, quello più comune, le cui gare hanno caratteristiche abbastanza simili tra loro. Per l’Indoor, quello che si fa dentro i palazzetti dello sport o su grande piazze d’estate, il discorso è un tantino differente. Lì si cerca di privilegiare la visione del pubblico, con poche zone controllate, tutte circostanziate in uno spazio ristretto. Non esiste trasferimento.
Ma il vero Trial è quello all’aperto, dove le gare durano anche 6-7 ore, spesso pensate più per chi le fa che per chi le deve vedere. Il numero delle zone varia a seconda del tipo di gara. Nel mondiale e nelle più importanti competizioni la formula adottata è quella di due giri con 15 zone ciascuno. In ogni zona ci sono almeno due “giudici”, con il compito di attribuire le penalità. La zona si riconosce perchè si tratta di un corridoio di percorso fuoristrada non più lungo di una trentina di metri, delimitato da fettucce, con nel suo interno pietroni, ripide salite o ruscelli di montagna. Vi è un cartello “IN” ed un cartello “FIN”. Ulteriori “porte” all’interno sono riconosciute da una coppia di frecce di plastica – fissate su pietre o alberi o paletti creati appositamente – per indirizzare il pilota a passarci in mezzo. I concorrenti entrano nella zona uno alla volta, dopo averla solo ispezionata a piedi. E’ assolutamente vietato provarla. L’abilità di chi organizza sta proprio nello scovare luoghi naturali sufficientemente difficili da impegnare i piloti, ma non impossibili da superare. Il sistema di penalità. che ha subito diverse evoluzioni nel tempo è molto semplice: “0” se il pilota non appoggia piedi a terra; “1” se lo appoggia una volta; “2” se due volte: “3” da tre a infinite volte: “5” se cade, rompe il nastro, o la freccia, arretra col piede a terra, o rinuncia se la ritiene impossibile per le sue capacità.
Spesso vi sono diversi livelli di difficoltà, le cui differenze si evincono dai colori delle frecce delimitanti le porte all’interno della zona. In crescendo si parte dal bianco, giallo, verde, blu per arrivare al rosso che è quello più difficile. In alcune occasioni c’è anche il nero la cui collocazione è però ambigua. In una “classica” che si disputa nel principato di Andorra è oltre il rosso, quindi ancora più impegnativo, in altre gare minori rappresenta il livello più basso.
La tendenza è raggruppare le zone, in modo che il pubblico ne possa vedere il maggior numero possibile. Il tempo totale di gara nel passato aveva la sua influenza, perchè i trasferimenti erano lunghe ed estenuanti mulattiere, che minavano il fisico del pilota anche fuori dalle zone controllate. Realtà mantenute oggi solo in alcune famose classiche, come la Sei Giorni di Scozia o lo Scott Trial.
Nel mondiale negli ultimi tempi, e nel campionato italiano da quest’anno, è stato introdotta una manche di qualificazione a tempo. Al sabato in una sola zona, vicino alla partenza, in modo che il pubblico possa presenziarvi, disegnata ad hoc con ostacoli molto lievi, viene cronometrato il tempo impiegato da tutti i piloti. Il più rapido, ammesso che non abbia messo piedi a terra, perchè in primis comanda sempre il regolamento del Trial, gode del privilegio di partire per ultimo e via dicendo. La classifica determina l’ordine di partenza del giorno seguente, ma letta al contrario. Infatti nel Trial, dove la partenza è singola a distanza di un minuto tra un concorrente e l’altro, partire ultimo è spesso considerato un vantaggio: nelle zone si vede dove passano e sbagliano i propri avversari, se ne può fare tesoro e non ripetere gli errori.
Nelle gare di un certo livello, spesso compare insieme al pilota un tipo che ha lo stesso numero di pettorale: si tratta del suo minder. Ha molteplici compiti, Sicuramente il principale è acchiappargli la moto nel punto più difficile in caso di insuccesso. Ma spesso fa anche da meccanico, porta ricambi, porta borraccia con i sali minerali che sudando devono venir recuperati. Oppure è il consigliere su quali traiettorie scegliere, quale marcia usare (tra i più giovani è quasi sempre il genitore). Nel trial moderno la coppia minder-pilota deve essere molto affiatata. Si arriva anche ad organizzare insieme gli allenamenti.